lunedì 7 maggio 2018

La sua ombra sulla Città


La sua ombra sulla Città
Giolì Vindigni

Il processo per concorso esterno in associazione mafiosa avviato in questi giorni nei confronti di Mario Ciancio, presso il tribunale di Catania, non è solo un giudizio pendente sull’editore/direttore del quotidiano “La Sicilia” già Presidente nazionale della Fieg (Federazione italiana editori giornali) ed i suoi rapporti con la mafia, ma è anche un processo che vede coinvolta la classe dirigente siciliana degli ultimi quarant’anni. Ciancio, oltre ad essere stato il padrone incontrastato dell’editoria siciliana, è un uomo d’affari senza scrupoli, come si sarebbe detto anni fa.
I suoi principali affari consistono nel comprare terreni di scarso valore, fare in modo che, grazie a varianti ai piani regolatori locali, diventino edificabili e infine che vengano scelti dagli amministratori per costruirvi sopra ospedali, alloggi militari, parchi commerciali, insediamenti turistici e via continuando. Insomma aumentare la sua smisurata ricchezza grazie a delle enormi speculazioni edilizie.

In questi anni quasi tutti gli uomini politici siciliani, rappresentanti istituzionali, amministratori, sindacalisti, giornalisti, hanno preferito obbedire al padrone dell’informazione siciliana e curare i suoi interessi, piuttosto che occuparsi di quelli dei cittadini. 

I tanti, troppi, che si sono mossi per far in modo che Mario Ciancio perseguisse i suoi affari hanno giustificato le loro azioni con lo sviluppo e la creazione di posti di lavoro.
Un’idea di sviluppo malata che distrugge l’unica risorsa della Sicilia, il suo territorio, e crea posti di lavoro effimeri solo a scapito di altri posti di lavoro. La vicenda di questi giorni che vede coinvolti i lavoratori dell’ipermercato Auchan di San Giuseppe La Rena è emblematica. 
Per permettere la costruzione di quel centro commerciale è stata distrutta una parte del boschetto della Plaja e molti negozi del centro di Catania hanno chiuso a causa della crisi provocata dalla proliferazione dei grossi centri commerciali. Poi, per favorire l’ennesima speculazione di Mario Ciancio, si è permessa la costruzione di un altro centro commerciale a cento metri da quello di San Giuseppe La Rena, ed al suo interno, l’Auchan ha aperto un altro ipermercato, decretando la morte certa del primo ed il licenziamento, arrivato in questi giorni per lettera, di quei 101 lavoratori.

In Sicilia tutte le operazioni edilizie sul territorio sono seguite con grande interesse dalla mafia, che si occupa, attraverso le proprie imprese, di tutti i lavori di edificazione, ed una volta realizzato il progetto di un centro  commerciale o di un parco turistico o di un ospedale, si occupa della gestione di alcuni punti vendita, della ristorazione, delle pulizie, della sicurezza e di tutte le altre attività indispensabili per riciclare il denaro proveniente dai traffici illegali. Infine si dedica alle assunzioni del personale, passaggio importante, che serve sia per rimarcare la sua presenza e la sua forza nel territorio sia per entrare in possesso di altri pacchetti di voti da mettere sul mercato. Gli affari di Ciancio pare s’incrocino con le attività della mafia e ne delineano il nuovo volto. Ecco perché la difesa di Ciancio, durante la prima udienza, si è opposta tenacemente alla richiesta del Comitato No Pua di costituirsi parte civile.
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La sua ombra sulla Città 2


LA CORTE DI CIANCIO ALLA SBARRA?
Il Pua (Piano urbanistico attuativo Catania Sud) è una speculazione portata avanti grazie all’intervento, protrattosi negli anni, di tanti politici che hanno avuto ruoli di primo piano nelle istituzioni siciliane e nazionali. Politici che, per favorire l’approvazione del progetto, hanno riperimetrato l’Oasi del Simeto riducendone i confini, cambiato i piani di possibili sviluppi del nostro Aeroporto, stravolto le prescrizioni del Cru, ignorato la relazione del Pai (Piano assetto idrogeologico) sul rischio idrogeologico, eluso i rilievi riportati su una zona ad alto rischio sismico, e via dicendo. I lavori per la realizzazione all’interno del Pua, sui terreni di Ciancio – di alberghi, un residence turistico, un acquario, un centro congressi, un centro commerciale, un club sportivo, un istituto di medicina dello sport, un centro fitness, una pista da Gokart, un bowling, un multisala, vari punti di ristoro – sono di grande interesse per la mafia, come dimostra l’attività dell’imprenditore mafioso Mariano Incarbone (condannato con sentenza definitiva nel processo Iblis) per agevolare la realizzazione del progetto, come, peraltro, aveva già fatto con gli altri progetti in cui i suoi interessi si erano incrociati con gli affari di Ciancio. Inoltre la società che dovrebbe trovare i finanziatori del Pua, Stella Polare, e che ebbe tra i soci fondatori persone finite in processi di mafia è rimasta sempre reticente sulla provenienza dei denari, 300/500 milioni di euro, necessari alla realizzazione del progetti. Il Comitato No Pua avrebbe voluto sapere di più sul contributo di Ciancio alla campagna elettorale di Stancanelli del 2008. L’ultimo atto della sua giunta fu proprio quello di portare il Pua in consiglio comunale per l’approvazione. Avrebbe voluto capire di più sulla promessa, poi  mantenuta, che il sindaco Bianco avrebbe fatto a Ciancio, promessa di cui si parla in una famosa intercettazione telefonica. Il Collegio giudicante, invece, ha accolto la tesi della difesa, rigettando la richiesta di costituzione di parte civile del Comitato. 

Gli avvocati della difesa hanno anche cercato di tenere fuori dal processo i movimenti del
patrimonio liquido di Ciancio, chiedendo al Collegio giudicante di non ammettere, tra i testi
dell’accusa, i consulenti finanziari dell’imputato e gli esperti della Procura che si sono occupati di ricostruire i movimenti degli ingenti capitali nei vari paradisi fiscali, ma in questo caso la loro richiesta è stata respinta.
Il processo va avanti e il 26 aprile verranno ascoltati alcuni collaboratori di giustizia. In
seguito verranno ascoltati quasp duecento testi: da Lombardo e Bianco – chiamato come teste dalla difesa – a Mimmo Sudano, Saro D’Agata, Claudio Fava, Nando Dalla Chiesa, questi ultimi chiamati come testi dall’avvocato di parte civile della famiglia Montana, Goffredo D’Antona.
Paradossale che nel processo si parlerà di Giuseppe Fava non per i tentativi di depistaggio avvenuti dopo il suo omicidio, ad opera anche di alcuni giornalisti del quotidiano di Ciancio, ma solo perché i difensori hanno presentato come documenti a difesa dell’imputato quattro articoli del Giornalista ucciso dalla mafia. Questo ci incuriosisce parecchio!